Alla fine dell’anno scolastico 2014/2015, un alunno mi suggeriva di condividere il mio metodo di insegnamento. Così mi sono ritrovata a riflettere su come poterlo descrivere. In un panorama scolastico infarcito di acronimi e di slogan, ho deciso di sintetizzare la mia didattica attraverso tre parole-chiave che chiamerò le 3 M.
1) MOTIVAZIONE. L’obiettivo principale è suscitare il piacere della conoscenza fine a sé stessa, frutto di una motivazione intrinseca, svincolata dal risultato e dalla performance scolastica. Lo studio deve essere un mezzo per vivere meglio, per diventare persone migliori, per mettere al servizio degli altri le proprie conoscenze e competenze: tutti possono dare un contributo positivo alla classe e, in un futuro non troppo lontano, alla società. Si studia cercando di comprendere meglio noi stessi, i nostri interessi, le nostre passioni che diventano via via la chiave di lettura per interpretare il mondo complesso in cui viviamo. Essere “motivati” significa etimologicamente percepire un moto, un impulso, verso la conoscenza e verso la vita.
2) MEDIAZIONE. L’insegnante è un mediatore tra l’alunno e un mondo di conoscenze. Il principale compito del docente è mostrare che le conoscenze apprese a scuola hanno sempre un legame con la vita. Se manca questo legame, ci sono solo nozioni che vengono dimenticate al suono della campanella. Qualsiasi occasione anche al di fuori della scuola può permetterci di conoscere e di arricchire la nostra formazione. Un viaggio, una passeggiata, uno spettacolo teatrale, un concerto, un film, un libro, un’amicizia… fino ad arrivare a un clic su Google possono aprire nuovi orizzonti. Tutto può essere oggetto di studio e arricchire la nostra cultura. Il docente è un intermediario che suscita domande e curiosità nei ragazzi: a loro spetta il compito di trovare risposte, di cercare una pista da seguire per le loro ricerche. La lezione non è altro che un dialogo: l’insegnante pone domande e guida al ragionamento, gli studenti rispondono, avanzando ipotesi, soluzioni, a partire dal loro bagaglio di esperienze e conoscenze.
3) METACOGNIZIONE. Una delle competenze-chiave indicate dall’Unione Europea è: imparare a imparare, definita come “l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo”. Tutto questo si può tradurre con la parola “metacognizione” che, in psicologia, indica l’autoriflessività sul fenomeno cognitivo ossia la capacità di osservare e controllare i propri pensieri e il modo di apprendere. La didattica metacognitiva si basa su una visione olistica dello studente, in cui sfera affettiva-emozionale e sfera cognitiva sono inscindibili, e sulla modificabilità cognitiva strutturale, vale a dire sulla possibilità di modificare e incrementare l’intelligenza. In ogni età e in ogni situazione, è possibile indurre dei cambiamenti a livello cognitivo, attivando delle risorse latenti che ancora non sono state sviluppate in modo adeguato. L’approccio metacognitivo contribuisce a creare un ambiente di apprendimento flessibile e creativo in cui ciascun alunno può apprendere nel modo migliore e acquisire consapevolezza delle strategie che ha utilizzato per raggiungere un risultato positivo. Anche l’errore, se giustificato da un ragionamento metacognitivo, si rivela un’esperienza di apprendimento fondamentale. Saper controllare i processi che si attivano di fronte a una prova di verifica o a una richiesta dell’insegnante permette anche di gestire bene l’emotività, con risultati molto positivi sull’autostima.
Naturalmente a qualsiasi impostazione pedagogica e didattica deve unirsi un’attenzione particolare per la relazione educativa: insegnare mette in gioco le competenze relazionali del docente, quelle che nel parlare comune rientrano nella cosiddetta “umanità” degli insegnanti. Il latino educere, da cui viene il verbo “educare”, significa “condurre fuori”: per far emergere qualità, capacità, pensieri ed emozioni positive occorre stabilire un rapporto di fiducia, di rispetto e di stima tra docente e discente. Occorre ricordare che non è solo il docente a educare gli studenti, ma sono anche gli studenti a educare il docente: ciascuno tira fuori la sua parte migliore, attraverso il rapporto che stabilisce con l’altro. Tutti educano tutti. Ciò rende unica e irripetibile l’esperienza educativa in ogni classe: un anno scolastico è l’unità di misura per la crescita culturale e umana degli alunni e degli insegnanti.